Il Parlamento è considerato il vero e proprio simbolo della democrazia. E se oggi l’Assemblea Regionale Siciliana (ARS) non gode di grande reputazione, proprio alla Sicilia spetta la primogenitura relativa ad una assemblea legislativa di questo genere. Stiamo parlando del Parlamento del Regno di Sicilia, considerato dagli studiosi odierni non solo il più antico a livello continentale, ma anche il primo su scala mondiale, ad essere stato strutturato per avere un funzionamento analogo a quelli contemporanei. Ma andiamo a vederlo più da vicino, per capirne meglio le peculiarità
L’assise di Mazara del Vallo
Il primo passo verso la formazione di una assemblea in grado di limitare i poteri sino ad allora attribuiti esclusivamente ai sovrani. La data da ricordare in tal senso è il 1097, quando il comandante dei Normanni, il Gran Conte Ruggero I, promosse un incontro a Mazara del Vallo. Nel corso del quale furono poste le premesse per consolidare il potere assunto dagli stessi Normanni con la Presa di Palermo, avvenuta due decenni prima.
Proprio nel corso di questa assise iniziarono a circolare idee tese a riequilibrare il potere, sino ad allora concentrato esclusivamente nelle mani dei sovrani. Idee che si consolidarono nel corso dei decenni successivi, ponendo le basi per i fatti del 1130. Anno in cui a Palermo, proprio all’interno del Palazzo che ancora oggi ospita le sedute del Parlamento siciliano, avvenne l’incoronazione di Ruggero II ad opera dei dignitari isolani, in qualità di primo Re di Sicilia.
A conferire maggiore importanza all’evento fu però un’altra circostanza, enorme per il tempo. Ovvero l’inizio di una consuetudine non scritta, in base alla quale il sovrano non poteva essere legittimato ad esercitare il proprio potere senza il preventivo riconoscimento dell’assemblea. Il logico corollario di questo orientamento fu un notevole ampliamento delle funzioni parlamentari. Le quali passarono da una validità solo formale ad una indubbiamente operativa.
Il Parlamento Siciliano
Se in origine a dominare il Parlamento siciliano furono i signorotti e il ramo ecclesiastico, occorre anche sottolineare come già a partire dal 1221 l’assemblea assunse un potere deliberativo di non poco conto. Aprendo una prima breccia nell’assolutismo dell’epoca. Facendolo addirittura quattro decenni prima di quello inglese, al quale è stato a lungo attribuito il primato per quanto concerne i sistemi legislativi.
La facoltà di proporre leggi e di discutere quelle di emanazione reale, fu il vero proprio prodromo al coinvolgimento della società civile, rappresentata dai reggenti delle città demaniali sparse per l’isola. Tanto da essere considerato il vero e proprio motore dei Vespri siciliani avvenuti nel 1282. Ovvero l’evento che spostò il baricentro del potere isolano da Palermo a Catania, con la decisione di incoronare Pietro d’Aragona al fine di spezzare il dominio e la prepotenza degli Angioini.
Anche le sedute parlamentari in questo periodo si spostarono dal capoluogo alla città etnea, venendo effettuate all’interno del Castello Ursino. Una testimonianza dei fatti è data dalla presenza di numerosi sarcofagi della dinastia aragonese all’interno della Cattedrale di Catania.
La cosa da rimarcare negli eventi dell’epoca è proprio la consistenza delle competenze attribuite al Parlamento Siciliano. Nettamente superiore a quelle che distinsero le entità che gli contendono il primato temporale, ovvero il Parlamento dell’Isola di Man e quello islandese.
Il declino e il risveglio pre-unitario
Con l’estinzione della linea regnante aragonese, il Parlamento Siciliano iniziò un lento declino, intensificato in particolare dall’arrivo dei Borboni. La fusione del Regno di Sicilia con quello di Napoli, in particolare si rivelò nefasto. La fusione, infatti, non avvenne solo dal punto di vista amministrativo, ma anche decisionale. E poiché la Campania non aveva un Parlamento, non fu possibile a quello siculo resistere alla smania di accentramento dei regnanti, testimoniato da un ricorso sempre più frammentario alle assemblee. Ne seguì uno scarsissimo ricorso alle assemblee, limitato alla discussione dei finanziamenti per le campagne militari difensive.
L’atteggiamento in tal senso di Ferdinando I di Borbone, in particolare, spinse i siciliani a reagire, ottenendone non solo l’abdicazione, grazie all’aiuto decisivo degli inglesi, ma anche la promulgazione della nuova Costituzione, nel 1812. In cui si proclamava la fine del regime feudale. Resa ancora più concreta, sul piano politico, dal varo di un nuovo parlamento bicamerale, al quale doveva essere affidato il compito di rappresentare non solo le élite, ma anche le classi popolari.
Un sogno spezzato dalla restaurazione del Congresso di Vienna, tre anni più tardi. Da quel momento, le istanze di democratizzazione si infransero ogni volta che cercarono di riconquistare una centralità resa impossibile da una lunga serie di scelte sbagliate da parte delle classi più agiate. Le quali pensarono bene di salvare la loro funzione con il celebre motto gattopardesco, “Tutto cambia perché nulla cambi”, appoggiando l’arrivo dei Savoia. Un motto che, a ben vedere, sembra essere sempre molto popolare nell’odierna Assemblea Regionale Siciliana.
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