Gli spaghetti sono uno dei simboli identificativi del nostro Paese all’estero. Basta in effetti guardare le fiction in cui gli stranieri parlano degli italiani per trovare un immancabile riferimento in tal senso. Eppure della storia della nostra specialità di pasta più celebre non si sa quasi nulla, da un punto di vista puramente culturale. A partire dalla primogenitura degli spaghetti, che pochi sanno appartenere alla Sicilia. Andiamo quindi a ripercorrerne la storia, partendo proprio dagli inizi.
La patria degli spaghetti è Trabia
Gli spaghetti sono nati in Sicilia. In particolare, la loro patria sarebbe Trabia. Ad attestarlo una testimonianza redatta dal geografo arabo, di stanza presso la corte di Ruggero II, Muhammad al-Idrisi, più conosciuto come Edrisi. Nell’opera “Kitab-Rugiar”, risalente al 1154, proprio lui fa infatti ad indicare il paese alle porte di Palermo, come una zona caratterizzata dalla presenza di molti mulini, all’interno dei quali si realizzava una pasta a forma di fili leggermente arrotondati, indicata con il termie di “itrya”.
In effetti, nel dialetto siciliano ancora oggi i capelli d’angelo, spaghetti estremamente sottili, sono indicati con il termine tria. Soltanto nel 1824 si inizia a utilizzare il termine spaghetti, ad opera di Antonio Viviani, il quale ne “Li maccheroni di Napoli” fa apparire una serie di illustrazioni in cui sono descritte le varie fasi della lavorazione. Come si può dedurre proprio dall’opera in questione, in precedenza si preferiva utilizzare la parola “maccheroni”, espressione letteraria poi trasposta sul versante culinario al fine di indicare paste fresche come gli gnocchi, e tubetti di farina di grano duro essiccata.
Proprio dalla testimonianza di Edrisi discende peraltro una teoria abbastanza suggestiva, in base alla quale potrebbero essere stati gli arabi ad importare la pasta secca nel nostro Paese. Poiché all’interno della sua opera non è possibile reperire altre testimonianze, si tratta però di una semplice teoria. Tale da consegnare la primogenitura degli spaghetti a Trabia.
Da Trabia al resto d’Italia
Proprio dalla Sicilia, gli spaghetti iniziarono quindi a diffondersi nel resto della Penisola, grazie in particolare al legame tra Trapani e Genova. Con gli abilissimi commercianti della Superba a fungere da veri e propri testimonial della bontà di questo alimento nel Nord del Paese. Tanto che nel XV secolo Bartolomeo Sacchi parlava di “trie genovesi” o “paste di Genova“. Le quali venivano cotte senza risparmio e servite con corredo di formaggio grattugiato e spezie in polvere prima, con burro abbinato a zucchero e cannella in seguito. Anche in questo caso si veniva a formare una chiara diseguaglianza tra i ceti abbienti e quelli popolari. Se per i primi era infatti un contorno servito con uova, carne e pollame, per i poveri si trattava di un piatto unico.
La vera e propria consacrazione della pasta risale però al Seicento, quando si diffuse nel Regno di Napoli come piatto principale, in un periodo in cui la scarsità di carne e pane provocavano vera e propria carestia.
Nel secolo successivo i primi stabilimenti in cui si produceva la pasta, a Gragnano e Torre Annunziata, trasformarono la pasta in un vero e proprio processo industriale. Guadagnando ai napoletani quel soprannome dispregiativo di “mangiamaccheroni” il quale si sarebbe poi diffuso negli Stati Uniti con la massiccia emigrazione proveniente dall’Italia, unificando tutti coloro che arrivavano dal Belpaese.
La pasta, simbolo dell’alimentazione in Italia
Il primato di Trabia non è cosa da poco, in un Paese come il nostro dove la pasta è considerata il simbolo dell’alimentazione. Basta scorrere “La Cucina Italiana. Storia di una cultura” (di Alberto Capatti e Massimo Montanari) per venire a conoscenza del fatto che già i Romani, Greci ed Etruschi mangiavano qualcosa di molto simile. Ovvero la “Lagana”, una sorta di lasagna la quale veniva condita con la carne e cotta al forno. Circostanza confermata dal rinvenimento in una tomba etrusca di Cerveteri di tutto l’occorrente per stendere la pasta, ovvero la spianatoria, il mattarello e persino una rotella cui, evidentemente, spettava il compito di tagliare il bordo ondulato della sfoglia.
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